Nel film “
Il pescatore di sogni” di Lasse Hallström, in una delle scene più interessanti, lo sceicco dice: “
Per i pescatori le uniche virtù sono la pazienza, la tolleranza e l’umiltà”.
Il pescatore che attende con pazienza il momento giusto rappresenta la metafora della vita, dove ognuno, se aspira a qualcosa di importante, non deve avere fretta di vedere i risultati sperati.
È così anche il lavoro dell'educatore, il quale lancia la sua lenza, che è il suo progetto educativo, al quale deve essere attaccato l’amo giusto, ovvero la strategia più adatta per raggiungere gli obiettivi previsti.
Uno degli obiettivi primari che un educatore deve conseguire è far emergere, “tirare fuori“ le
potenzialità, spesso
nascoste, delle persone di cui si occupa.
D'altronde il termine “
educare”, che deriva dal latino “ex-ducere”, letteralmente vuol dire proprio “
tirare fuori", far venire alla luce qualcosa che è nascosto.
Ma qual è la strada giusta per riuscire a “pescare“ il meglio nel mare di emozioni e di vissuti, spesso carichi di sofferenza, di una persona che vive un disagio?
La chiave per realizzare un buon intervento educativo non è la “tecnica”, ma il "
saper ascoltare", cercando di capire ciò che l’altro vuole comunicare.
"
Saper ascoltare" è un’abilità che va sviluppata, affinché l’
ascolto sia
attivo, cioè volto a individuare l’effettivo messaggio della comunicazione, in cui il soggetto destinatario dell'intervento educativo possa sentirsi
“compreso” e
non giudicato.
A tale scopo è di fondamentale importanza saper leggere oltre la parole, ponendo attenzione anche ai silenzi, ai gesti e a tutto ciò che rappresenta il cosiddetto “linguaggio non verbale”.
La relazione educativa è principalmente un "
contatto emozionale" che implica comprensione; solo in questo modo si può affermare che riusciremo a “
capire” e “
vivere” le
emozioni della persona che dobbiamo aiutare.
Soltanto
entrando in empatia attraverso la relazione l’educatore può aiutarla a far affiorare, in un cammino graduale ma costante, le risorse che ha dentro.
Affinché il suo lavoro possa generare un reale cambiamento, l'educatore deve possedere la capacità di mettersi “
nei panni dell'altro”, non solo da un punto di vista cognitivo, ma anche e soprattutto da quello emotivo.
Occorre però superare il concetto che educare vuol dire “mettere dentro” qualcosa, cambiando prospettiva e ascoltando quello che la persona con un disagio o una difficoltà ha già dentro di sé, ponendo il
focus sulla sua
sfera emotiva.
Quando la persona ha dei
blocchi emotivi che da sola non riesce a rimuovere, la figura dell’educatore può esserle di grande aiuto.
Ecco chi è
il pescatore di emozioni: colui che, con la pazienza tipica del pescatore, getta l’amo e aspetta che le emozioni escano fuori.
Per fronteggiare l'altrui difficoltà nell'esprimere le proprie emozioni e i propri sentimenti, l'educatore deve incrementare il livello di autostima della persona di cui si prende cura, valorizzando al massimo le sue abilità e competenze.
Soltanto ricordando che ogni essere umano, a prescindere dai suoi limiti e dalle sue difficoltà, può fare qualcosa che sia degno di nota o importante per qualcun altro, l'educatore potrà essere un bravo pescatore di emozioni.